di Valentina Trentini
Dal 7 marzo al 14 ottobre di quest’anno l’osservatorio della Fondazione Prada ospita la prima mostra dedicata alla poliedrica personalità di Miranda July, un’artista, scrittrice, performer e regista americana, che con il suo carisma e la sua genialità confonde i confini tra artista e pubblico.
Donna volitiva in ogni sua mostra, che non arretra mai, capace di presentarsi sia come artista dilettante, ma anche artista bisognosa di aiuto o al contrario, con le redini in mano. Esplorando le infinite possibilità della performance, della scrittura, del cinema e dell’arte, l’artista si immagina tutti i modi in cui potremmo essere e i modi in cui, a causa di gerarchie di potere convenzionali, non siamo. La sua arte è una lotta alla rigidità, agli schemi, a chi ci dice com’è quando e dove, ma che poi puntualmente non si presenta.
Il tema ricorrente delle sue opere? È proprio quello, il potere, l’abuso.
Lo percepiamo ad esempio dal video “The Amateurist” (1997), in cui due donne, una dilettante e una professionista, entrambe interpretate dalla July che per passare da un ruolo all’altro si cambia semplicemente parrucca. Con solo due inquadrature il pubblico riesce a percepire lo sbilanciamento di potere a favore della professionista, l’unica che parla, l’unica che può permettersi di avere una voce. Quanta umiliazione per i dilettanti.
L’impatto psicologico dello squilibrio del potere emerge anche in “I’m the president baby”, un’opera viva, il ritratto di Oumarou, un autista di Uber emigrato dal Niger che Miranda ha conosciuto a Los Angeles, attraverso le sue abitudini e gli oggetti che animano casa sua. La performance è costituita da testi incorniciati appesi di fianco alla tenda a cui fanno riferimento: ad ogni tenda, Oumarou associa un significato. Se le tende blu sono serrate, Oumarou sta dormendo sul materasso appoggiato al pavimento del suo monolocale a Los Angeles. Sonno profondo, Whatsapp è offline. Se le tende di colore verde sono aperte, sta su Instagram e finge di avere una vita che non gli appartiene, o meglio, non gli appartiene più. Se invece la tenda marrone si apre, oumarou è online e sente la mancanza dei suoi cari. Ma, se le tende rosa sono aperte, Oumarou è pronto a sottomettersi al capitalismo americano e a scarrozzare in giro per la città gente che di lui non sa nemmeno il nome. Non sa della sua provenienza. Non sa delle sue tende.
Alcune opere presenti in fondazione Prada sono state riportate alla luce dall’archivio dell’artista. Ad esempio, “Love diamond”, una documentazione video di lunga durata a colori. Raffigura una storia divisa in due atti, il primo ha come oggetto le dinamiche tra madre e figlia, mentre il secondo una donna intrappolata in un’orbita attorno a Titano. Anche in quest’opera, è proprio Miranda July a interpretare tutti i personaggi. La performance “Love diamond” è stata rappresentata a New York negli anni ‘2000, ma dopo essere stata messa in scena la July, come con tutte le sue altre performance, ha deciso di conservarne i materiali, dagli scripts ai video che lo documentavano. Perché l’atto di conservare? Sempre per un fine politico. Tutto ciò che si conserva si può ricordare, e tutto ciò che si ricorda diventa storia. La storia però poi diventerà il modello della nostra società. Per questo Miranda vuole conservare: stravolgere le gerarchie.
Lo squilibrio gerarchico pervade i due piani adibiti alla mostra, però, a un certo punto, cessa. Quando si arriva alla fine, dopo aver lasciato indietro le performance e i dittici di accusa e di provocazione nei confronti dei dogmi sociali, lo spettatore è invitato a riscoprire la sua intima infanzia. Come? Con l’ultima installazione, “Learning to Love you more, assignment #43”, una reiterazione dell’incarico 43 che la July aveva realizzato in precedenza (il realizzare una mostra con le opere d’arte che trovi in casa dei tuoi genitori). L’artista aveva pubblicato sui suoi social degli incarichi diversi e a ciascuno aveva assegnato un numero; tra questi incarichi, uno in particolare, il 43, chiedeva di realizzare una mostra con le opere d’arte che si trovano in casa dei propri genitori. Ed è proprio dentro una intimità domestica che ci sembra di entrare osservando questa installazione. Da un salvadanaio di Topolino e minnie che guardando al futuro (cercando forse di ispirare coloro che risparmiavano denaro a riempire la scatola), agli zoccoli portati come souvenir esotico dopo lunghe giornate alla guida da un papà autista alla sua bambina, a un piccolo carillon a forma di bambola ereditato da un’amica della nonna; ogni oggetto ha una voce, ogni oggetto ha una storia. E anche se il pubblico si trova davanti a loro senza averli mai visti prima, improvvisamente tutti riescono a ricondurli alla loro infanzia, ai loro viaggi esotici (anche se immaginari), ai loro risparmi (per un futuro ormai vicino).
Miranda_July_assignment_#43__courtesy_of_Valentina_Trentini Miranda_July_assignment_#43__courtesy_of_Valentina_Trentini MIranda_July_assignment_#43___courtesy_of_Valentina_Trentini
Uscendo dalla mostra qualcosa di magnetico porta il pubblico ad ammirare l’ultimo grido che vuole mettere in gioco i ruoli identitari che ci vengono imposti, per lasciare libero sfogo al nostro sentire, al nostro essere vulnerabili. Un poster realizzato in origine per una libreria d’arte non profit di New York e un video che documenta le azioni di due persone che eseguono le istruzioni riportate sul poster: strapparlo con rabbiosa violenza e disgusto, e poi da appendere con cura pezzo per pezzo con fredda e inesorabile determinazione”. Un invito a tutti a capovolgere gli schemi sociali e instaurare nuove dinamiche relazionali, più libere, senza pressioni, sapendosi a rischio ma, allo stesso tempo, forse, più protetti che mai.