di Selene Stradiotto

Per alcuni l’autunno è la stagione della decadenza dopo la luminosa estate. Il verde delle fronde degli alberi lascia spazio a sfumature aranciate e le foglie non tardano a ricoprire i viali di un manto brunastro. Per altri, invece, l’autunno è la stagione della riflessione, è il momento dell’anno in cui spogliarsi del superfluo per riconoscere le proprie priorità. Si intitola proprio Elemental la sala numero sei della mostra d’arte temporanea in corso a Venezia nella sede di Punta della Dogana e che è protagonista dell’articolo di oggi. Una sala che ci riporta alla semplicità della vita, un ritorno all’essenzialità che ben si presta a interpretare questo periodo dell’anno.

Dallo scorso luglio, dopo il blocco dovuto alla pandemia, la Fondazione Pinault ha riaperto le proprie porte presentando la sua periodica esposizione collettiva. Untitled 2020. Tre sguardi sull’arte di oggi ha visto quest’anno la compartecipazione di tre curatori: Caroline Bourgeois, firma storica della Fondazione, Muna El Fituri artista e storica dell’arte e Thomas Houseago, artista (...). Attraverso le opere di sessantasette maestri, l’esposizione si propone di creare un ambiente conviviale dedicato alla riflessione e all’introspezione personale.

Elemental porta il visitatore in questa dimensione e lo mette in dialogo con se stesso e la natura. Il primo artista presentato è Eduardo Chillida. Ispirato dalla tradizione degli artigiani del ferro spagnoli, Chillida omaggia le onde di Hokusai, l’astrattismo di Brancusi, la verticalità di Giacometti. Si tratta di forme semplici e di linee pulite che evocano le sue origini anche nelle qualità sonore dei manufatti. Le sue sculture giocano tra pieni e vuoti come in uno spartito musicale basco che ondeggia tra tonalità maggiori e minori. Nelle sue sculture, la luce ha un ruolo prioritario. Da sempre affascinato dalla bianca scultura greca affermava: «vengo da un Paese dalla luce nera. L’Atlantico è buio».

Come un filo rosso che accompagna il visitatore tra le sale, compare una serie di fotografie dell’artista austriaca Valie Export. Affermatasi durante gli anni Settanta grazie alle sue performance provocatorie dedicate al ruolo della donna nella società, in questa sala si confronta con la città fisica interrogandosi su quale sia il posto delle donne nello spazio pubblico.

L’osservazione della natura, lo studio dei suoi ecosistemi, la creazione di un contatto sincero e rispettoso tra l’uomo e l’ambiente sono le colonne portanti delle opere contemporanee di Daniel Steegman Mangranè. A un anno dalla prima monografica italiana all’Hangar Bicocca di Milano, l’artista spagnolo presenta per Untitled 2020 un assaggio del suo ventennale lavoro. Affascinato dalle forme geometriche create dal movimento di alcuni insetti della famiglia dei Phasmidi, mette in scena il loro moto. Nella video installazione presentata, il visitatore è invitato ad osservare il lento, elegante e dolce movimento di questi esseri che, mimetizzandosi tra i rami, tengono il suo sguardo incollato allo schermo. Un gioco continuo di apparizioni e sparizioni che diverte chi lo guarda, ma che interroga il rapporto tra le forme geometriche artificiali e quelle naturali.

Nella stanza Elemental non poteva infine mancare un riferimento a Venezia. In questa sala dalla vista unica in cui si contempla nello stesso istante il Canal Grande da una parte e quello della Giudecca dall’altra, si staglia un’opera con protagonista l’acqua. In un gioco di simmetria ed equilibrio, l’artista tedesco George Herold mette insieme cemento, legno e vetro per costruire una struttura multimateriale, una sorta di teca dove vasi di diverse altezze e dimensioni sono appoggiati ad aste di legno inclinate. Interessante il titolo dell’opera associato alla sua collocazione che pare pensata proprio per questa sala di Punta della Dogana, ma che risale a ventiquattro anni fa: Gelandete Horizonte, ovvero ‘orizzonti terrestri’.

Semplicità, delicatezza ed essenzialità sono le parole d’ordine di questa breve retrospettiva attraverso una delle sale di Untitled 2020. A completare il quadro non poteva mancare la purezza. Rei Naito, artista di origini giapponesi da sempre impegnata nello studio della condizione umana, presenta due opere dai colori chiari e dallo stile essenziale. Le sue installazioni parlano della violenza della guerra attraverso forme delicate che contemplano pochissimi elementi: un fiore bianco e un cuscino in seta di organza, piccoli oggetti con cui l’artista si mette in relazione e che per antitesi rappresentano il dolore del popolo giapponese. Rei Naito è, infatti, nata a Hiroshima nel 1961 e il dramma della guerra è nella sua pelle. Come a voler trasformare il male in bene, le sue opere sono il risultato di un esercizio mentale atto a fare della delicatezza il valore più importante. Le sue opere trasmettono serenità e, come a volersi rendere partecipi del periodo in cui stiamo vivendo, parlano di speranza.

Testo a cura di Selene Stradiotto, Storica dell’arte, Mediatrice Culturale presso Fondazione Pinault – Palazzo Grassi & Punta della Dogana
28 ottobre 2020