di Valentina Trentini
Ci viene insegnato di cercare sempre un punto d’incontro, di trovarsi a metà strada, di scrutare gli altri per trovare qualcosa in comune.
Perché sono i punti in comune a legare, ma anche a sottolineare le diversità.
Cosa può accomunare 20 borghi, 20 opere d’arte, ciascuno con la propria storia, ciascuna con il proprio progetto?
“Dove non sono mai stato, là sono”, la mostra organizzata dalla Fondazione Elpis di Milano, si è interrogata sin dal suo nascere proprio su questo. Inaugurata l’8 maggio e visitabile fino al 6 luglio 2025 negli spazi della Fondazione in via Lamarmora 26, la mostra celebra i primi cinque anni del progetto Una Boccata d’Arte e raccoglie opere, materiali d’archivio e testimonianze nate nei cento borghi italiani coinvolti.
Ogni anno, dall’ormai (per fortuna) lontano 2020, l’anno della pandemia, l’anno delle restrizioni, l’anno della messa in discussione e della solitudine forzata, la Fondazione ha voluto portare l’arte al di fuori delle grandi città, del traffico costante, del conformismo dilagante, per riscoprire un’autenticità che solo il dialogo interessato e l’ascolto totale possono dare.
Ogni artista selezionato è stato invitato a vivere per un periodo limitato in un borgo, fuori dalle rotte turistiche principali italiane, per potersi immergere completamente nel contesto locale, conoscere i luoghi di aggregazione, le tradizioni, i riti della comunità.
La mostra si propone al pubblico come un viaggio in un’Italia sconosciuta, ma parte integrante di quello che il concetto di italianità racchiude. Perché non si può dire di conoscere qualcosa fino a che non ci si vive insieme. E questo è proprio ciò che gli artisti di Una Boccata d’Arte sono tenuti a fare.

Ad aprire simbolicamente questo viaggio c’è un’installazione sulla facciata della Fondazione con scritto “Abracadabra”, opera del duo di artisti GRJB. La sua posizione al di fuori della fondazione e il significato della parola stessa paiono un invito a entrare per respirare quell’incantesimo di purezza e ritorno alle origini che raramente in una città come Milano si può trovare.
Sulla porta d’ingresso lo spettatore si imbatte in una serie di opere su carta, ispirate ad antiche mappe e tavole geografiche, attraverso cui l’artista vuole immaginare, in un grande disegno, una possibile cartografia del progetto Una Boccata d’Arte.
Sospesi a mezz’aria tre tondi pittorici in un tripudio di colori occupano un’intera sala. Opera di Alice Visentin, “Planète” rappresentano personaggi legati ad Avise, borgo della Valle D’Aosta, presenze raccolte che portano con sé la memoria intima della montagna, i canti delle valli italiane, i momenti di socialità del borgo.

Lo spettatore si trova poi di fronte a una scelta: può scendere al piano interrato e incontrare il cuore documentale della mostra, con installazioni video, vinili da ascoltare, una stanza trasformata in una sorta di cabina di regia; oppure salire al primo piano e trovare un ambiente totalmente dedicato all’installazione immersiva di Atelier Tatanka, un collettivo che ha lavorato sull’archivio di Una Boccata d’Arte.
Il mio consiglio? Scendete prima — per lasciarvi il gran finale al piano superiore.

Scendendo, le prime opere che catturano lo sguardo sono due installazioni sonore realizzate con due giradischi e due paia di cuffie: il primo, “Archive of Voices” di Elena Rivoltini, è un progetto realizzato per il borgo di Bassiano, in provincia di Latina, rappresenta un vero e proprio archivio di voci degli abitanti che dialogano nel dialetto bassianese, ormai in via d’estinzione. Il paese, che si sta spopolando sempre più, è legato più che mai alle memorie e ai racconti orali di quelli che ancora rimangono lì, come a preservare un tesoro che non può essere perduto. Il secondo vinile invece, intitolato “A cinque voci”, è dedicato al borgo di Gesualdo, in provincia di Avellino, e presenta un coro che intona il verso “Ahi disperata vita”. Il coro tiene ogni accordo fino alla perdita del fiato, fino a quando la loro voce diventa un suono strozzato e consumato, per riprendere nuovamente poi fiato. Sembra quasi che più riescono a mantenere il suono, più dignità di essere ricordato danno al borgo di Gesualdo.

Girando l’angolo, appesi al muro ci sono cinque panni, ciascuno accompagnato da un QR code. Ognuno di questi porta a diverse tracce audio, dal suono delle campane, a quello di alcune conversazioni per strada. Ogni panno inoltre ha un disegno diverso sopra, che è legato simbolicamente a una delle frazioni del borgo di Paluzza. Lo spettatore è invitato dal duo Mariona Cañadas e Pedro Murúa a fermarsi, ad ascoltare, a lasciarsi attraversare dai suoni del borgo, a immergersi nella sua quotidianità. Davanti a quest’installazione è come se si ammettesse che la frenesia delle grandi città un po’ ci fa perdere il contatto con le nostre origini. Paluzza è stato storicamente crocevia tra il Mediterraneo e il Baltico, terra ricca di memorie e figure eroiche, come le portatrici carniche, che durante la prima guerra mondiale trasportavano sulle spalle pesanti gerle colme di viveri per i soldati. Queste stesse gerle sono state il punto di partenza per la creazione di questa installazione, perché i suoni che il pubblico sente rimandano alla vita e ai passi delle portatrici.
Ma per respirare la vera anima di Una Boccata D’Arte bisogna salire al primo piano, che presenta un’unica grande installazione ambientale, risultato di un’immersione nell’archivio di tutte le edizioni di Una Boccata D’Arte. Migliaia di immagini, testi, informazioni relative alle cinque edizioni del progetto sono stati utilizzati per restituire allo spettatore la sua immensità: se sul pavimento vediamo un paramento geografico della distribuzione delle cento opere attraverso un mosaico di mappe che richiama il territorio italiano, sulle pareti troviamo cento fotografie, ciascuna posta in un luogo preciso per raccontare l’interazione tra arte, borghi e pubblico. Questa sala è il culmine dell’esperienza immersiva di Una Boccata D’Arte, perché solo questa sala può far toccare quasi con mano la potenza delle voci fuori campo, come quelle degli abitanti dei borghi italiani. Le voci che troppo spesso vengono dimenticate, ma che se non ci fossero, l’armonia italiana stonerebbe.

L’arte può uscire dagli schemi convenzionali, può lasciare i confini delle metropoli, può ricercare la poesia altrove. A tutti quelli che si chiedono se esista ancora un’autenticità, direi “andate a prendervi una boccata d’arte.”