December 11, 20162 Comments

Alla scoperta di Jean-Michel Basquiat!

È in mostra al MUDEC di Milano Jean-Michel Basquiat: uno dei pochi street artist ad aver portato la sua arte, dalla strada, alle più importanti ed inaccessibili gallerie di New York.

Lui: personaggio affascinante, dannato, viveva in un mondo tutto suo, è riuscito a stregare gli sterili galleristi bianchi, dipingendo pura arte nera, con richiami alle sue origini africane, mischiate agli occidentalissimi personaggi dei cartoons, per denunciare una società sbagliata, che strapagava le sue opere, acclamandolo come grande artista, ma che al contempo lo giudicava per il colore della pelle. Lui, da quella pelle, però, non poteva scappare - e ne era ossessionato: a volte si dipingeva di bianco, ma con i capelli rasta in acrilico nero. Poi con la corona, simbolo di potere, quale potere?

Questo il fervore con il quale si viene accolti in mostra, fin dal primo passo al suo interno: ogni pannello esplicativo ci fa conoscere un pezzo della brevissima, ma affascinante ed intensa vita di Basquiat.

Più esaustive di ogni spiegazione, sono, naturalmente, le opere.

In principio ci si ritrova davanti ad un linguaggio forte ed esplicito. Le sale vanno in ordine cronologico ed il periodo artistico iniziale racconta una denuncia sociale, firmata con il nome di SAMO: “same old shit”. Il colore vibrante usato, conferisce alle tele visibilità immediata ed una grande forza. Il suo tratto è deciso, non si può rimanere impassibili.

Dopo lo stupore, inizia il fascino. Compaiono una serie di segni ripetitivi, che messi assieme formano un codice, unico, di Jean-Michel Basquiat.

Ogni artista ha un codice tutto suo. Ricordo l’ultima volta in cui ho pensato di essere di fronte ad un preciso linguaggio simbolico, volto a comunicare un messaggio specifico da parte dell’artista; è stato alla mostra di uno dei più brillanti esponenti del surrealismo: Joan Mirò. Certi artisti creano un vero e proprio alfabeto, in cui ogni segno è simbolo di qualcosa di etereo. Non sempre il mittente siamo noi, talvolta il loro è uno sfogo personale, un modo per calmare la rabbia che hanno dentro e per gridare, come possono, i loro ideali. È forse questo il caso di Jean-Michel Basquiat?

Le opere successive diventano sempre più ermetiche ed indecifrabili, le parole ne diventano quasi protagoniste assolute - ed il mistero cresce.

Jean-Michel Basquiat, The Fake Leonardo

Jean-Michel Basquiat, The Fake Leonardo

Ogni sala ci fa scoprire sfumature della sua personalità. Razzismo, lotta al potere, ricordi dell’incidente avuto da bambino, nostalgia della terra d’origine: queste le tematiche presentate in tempera acrilica, o con l'evidenziatore su tela, su legno, su cartone, su porte, su finestre, su oggetti raccolti dalla strada.

Sono belli i colori, il linguaggio semplice ed efficace, il mistero che si cela dietro quel suo codice speciale, la grandezza delle tele che ti ci fa immergere dentro e la vivacità di quel suo giallo-ocra ricorrente, come un ricordo nostalgico di una terra lontana.

Jean-Michel Basquiat, untitled, 1982

Jean-Michel Basquiat, untitled, 1982

Risulta, così, una mostra bella, stimolante, breve, ma ricca, che lascia il giusto tempo allo spettatore di godersi appieno il linguaggio stonante di Basquiat e che si conclude in grande: l’ultima sala è dedicata ai duetti con Andy Warhol.

Michael Halsband, Andy Warhol&Jean-michel Basquiat

Michael Halsband, Andy Warhol&Jean-michel Basquiat

Unica nota negativa? Il prezzo. 12€ l’intero e 10€ il ridotto, da sommare ai 5€ di guida (sempre utile). Forse un po’ troppi per una mostra tutto sommato breve.

November 27, 2016No Comments

Gita di classe alla Casa-Museo Boschi Di Stefano

Con la classe, come fossimo al Liceo, sono andata a visitare la Casa – Museo Boschi Di Stefano.
(Ebbene sì, queste sono le gioie di aver scelto una facoltà a metà strada tra economia e lettere: quando è il turno di lettere, ci portano ancora in gita!).

Era la dimora dei coniugi Antonio Boschi e Marieda di Stefano, grandi collezionisti del ‘900, dei quali ora si possono ammirare una selezione di 200 delle oltre 2000 opere che hanno raccolto nel corso della loro vita.

Le stanze vanno in ordine cronologico, presentando anche un raggruppamento tematico e ognuna custodisce veri e propri capolavori del secolo.

L’arte del ‘900, però, potrebbe essere non così semplice ed immediata da comprendere se non si è appassionati (o, banalmente, se non la si è trovata nel programma di storia dell’arte del Liceo!). E' quindi piacevole capire quale opera colpisce comunque, anche lo spettatore inesperto, o quale è possibile apprezzare con poche e basiche nozioni in più.

La prima è indubbiamente l’opera di Umberto Boccioni nella Sala 2, in cui si ha l’onore di ammirare un Boccioni inedito, pre-futurista. Nei primi anni del ‘900 egli soggiornava da poco a Milano e tra le sue influenze iniziali, si notano qui quelle espressioniste, con pennellate veloci e molto spesse, colori non fedeli alla realtà, ma derivanti da una propria intima visione del reale. A Boccioni era stata dedicata una retrospettiva a Palazzo Reale di Milano, nella primavera dell’anno corrente, che metteva in scena la maturazione artistica del pittore, dagli esordi legati alla tradizione, fino alle evoluzioni divisioniste. È interessante dunque capire anche il processo grazie al quale gli artisti arrivano a sviluppare la loro massima espressione artistica ed il loro proprio stile, piuttosto che ammirarne solo le opere “di punta”.

Umberto Boccioni, Testa di vecchio, 1909

Umberto Boccioni, Testa di vecchio, 1909

Proseguendo si trova il bagno. Non mi era mai capitato prima d’ora di vederne uno con appese alle pareti grosse tele e ringrazio mia madre per non avere mai avuto un’idea simile, altrimenti sarebbero state messe a dura prova dalla sottoscritta ogniqualvolta utilizzassi l’acqua.
Il bagno presenta il suo aspetto originale, probabilmente la sig.ra Marieda era molto precisa ed attenta.

Bagno di Casa-Museo Boschi Di Stefano con opere di Ralph Rumney

Bagno di Casa-Museo Boschi Di Stefano con opere di Ralph Rumney

Il Novecento è stato un periodo difficile, caratterizzato dalla guerra. A contrastare la frenesia dei Futuristi vi era il movimento “Novecento”, che radunava artisti come Funi, Marussig, Carrà, Bucci e voleva riportare l’arte ad un rigore originale, riesumando quei valori eterni dell’arte tradizionale classica, come le forme pure ed una composizione equilibrata del disegno. È a questo movimento che viene dedicata la Sala 4, in cui spiccano ritratti di uomini e donne quasi statuari, in posizioni rigide e plastiche. I richiami sono al pensatore di Rodin e alle nature morte classiche, riviste qui in chiave moderna, con una concretezza quasi cinica, manifestazione dello stato d’animo post Prima Guerra Mondiale.

La Lettrice, Piero Marussig, 1935 e Il Pensatore, August Rodin, 1902

La Lettrice, Piero Marussig, 1935 e Il Pensatore, August Rodin, 1902

Sala 4, il Novecento italiano, camera degli ospiti

Sala 4, il Novecento italiano, camera degli ospiti

Sarà perché sono da poco stata a Venezia, ma le opere di Filippo de Pisis raffiguranti la Serenissima mi hanno proprio colpita. Guardandole si respira l’aria veneziana, ne si ammira la luce che si riflette sull’acqua e sugli edifici, gli scorci, la folla confusa della quale si percepisce solo il continuo movimento e le geometrie spezzate dai riflessi.

Filippo de Pisis, Palazzo Ducale, primi anni 30 del XX sec.

Filippo de Pisis, Palazzo Ducale, primi anni 30 del XX sec.

Arriviamo così all’opera che mi ha colpito di più: L’Annunciazione di Alberto Savinio (fratello del genio della metafisica Giorgio de Chirico). L’opera è assurda, contiene tutte le stranezze che in quel tempo si potevano trovare sia nell’arte surrealista, che metafisica ed è al contempo geniale.

L’artista utilizza un forte simbolismo per affrontare temi che trascendono dalla tela stessa e riguardano valori più alti.

Innanzitutto si nota la figura femminile, Maria, con la testa di Pellicano. Savinio soleva utilizzare gli animali per evidenziare specifiche caratteristiche del personaggio che raffigurava. Il Pellicano è infatti simbolo medievale di bontà e amore materno, perché si riteneva che in caso di necessità fosse capace di sventrare con il becco il proprio corpo per nutrire i figli.

Può così sembrare estremo, al limite della blasfemia, raffigurare Maria in questo modo, ma l’associazione richiama in realtà valori condivisi proprio dalla stessa Religione Cristiano-Cattolica.

La stanza è piccola, intima e l’Arcangelo Gabriele – qui chiaramente affetto da gigantismo – è inquietante e quasi spaventoso, ma le sue dimensioni richiamano la grandezza dello stesso mistero della scena qui raccontata.

Il taglio della finestra sproporzionato, ed il cielo nero che fa da sfondo all’Arcangelo, sono solo alcuni degli elementi che disorientano lo spettatore.

In Savinio, quindi, l’Annunciazione diviene simbolo del rapporto dell’uomo con la Divinità, del continuo confronto tra il nostro essere minuscoli di fronte all’immensità di Dio o della Natura stessa, concetti che resuscitano riflessioni tipiche del Romanticismo e ciò che racchiude la singola parola “sublime”.

Alberto Savinio, l'Annunciazione, 1932

Alberto Savinio, l'Annunciazione, 1932

Verso la fine della visita troviamo una sala completamente dedicata a Lucio Fontana e alle sue molteplici visioni di “concetto spaziale”, che è anche il nome comune dato alle sue opere. Si sfocia poi in tematiche sempre più universali, con pittori che hanno fatto delle loro riflessioni sul cosmo e sul nucleare tele assai suggestive.

Sala 9, Lucio Fontana, Concetto spaziale. Attese

Sala 9, Lucio Fontana, Concetto spaziale. Attese

Cesare Peverelli, Combattimento di insetti, 1955

Cesare Peverelli, Combattimento di insetti, 1955

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