October 29, 2020No Comments

Elemental, dove tutto torna all’essenziale

di Selene Stradiotto

Per alcuni l’autunno è la stagione della decadenza dopo la luminosa estate. Il verde delle fronde degli alberi lascia spazio a sfumature aranciate e le foglie non tardano a ricoprire i viali di un manto brunastro. Per altri, invece, l’autunno è la stagione della riflessione, è il momento dell’anno in cui spogliarsi del superfluo per riconoscere le proprie priorità. Si intitola proprio Elemental la sala numero sei della mostra d’arte temporanea in corso a Venezia nella sede di Punta della Dogana e che è protagonista dell’articolo di oggi. Una sala che ci riporta alla semplicità della vita, un ritorno all’essenzialità che ben si presta a interpretare questo periodo dell’anno.

Dallo scorso luglio, dopo il blocco dovuto alla pandemia, la Fondazione Pinault ha riaperto le proprie porte presentando la sua periodica esposizione collettiva. Untitled 2020. Tre sguardi sull’arte di oggi ha visto quest’anno la compartecipazione di tre curatori: Caroline Bourgeois, firma storica della Fondazione, Muna El Fituri artista e storica dell’arte e Thomas Houseago, artista (...). Attraverso le opere di sessantasette maestri, l’esposizione si propone di creare un ambiente conviviale dedicato alla riflessione e all’introspezione personale.

Elemental porta il visitatore in questa dimensione e lo mette in dialogo con se stesso e la natura. Il primo artista presentato è Eduardo Chillida. Ispirato dalla tradizione degli artigiani del ferro spagnoli, Chillida omaggia le onde di Hokusai, l’astrattismo di Brancusi, la verticalità di Giacometti. Si tratta di forme semplici e di linee pulite che evocano le sue origini anche nelle qualità sonore dei manufatti. Le sue sculture giocano tra pieni e vuoti come in uno spartito musicale basco che ondeggia tra tonalità maggiori e minori. Nelle sue sculture, la luce ha un ruolo prioritario. Da sempre affascinato dalla bianca scultura greca affermava: «vengo da un Paese dalla luce nera. L’Atlantico è buio».

Come un filo rosso che accompagna il visitatore tra le sale, compare una serie di fotografie dell’artista austriaca Valie Export. Affermatasi durante gli anni Settanta grazie alle sue performance provocatorie dedicate al ruolo della donna nella società, in questa sala si confronta con la città fisica interrogandosi su quale sia il posto delle donne nello spazio pubblico.

L’osservazione della natura, lo studio dei suoi ecosistemi, la creazione di un contatto sincero e rispettoso tra l’uomo e l’ambiente sono le colonne portanti delle opere contemporanee di Daniel Steegman Mangranè. A un anno dalla prima monografica italiana all’Hangar Bicocca di Milano, l’artista spagnolo presenta per Untitled 2020 un assaggio del suo ventennale lavoro. Affascinato dalle forme geometriche create dal movimento di alcuni insetti della famiglia dei Phasmidi, mette in scena il loro moto. Nella video installazione presentata, il visitatore è invitato ad osservare il lento, elegante e dolce movimento di questi esseri che, mimetizzandosi tra i rami, tengono il suo sguardo incollato allo schermo. Un gioco continuo di apparizioni e sparizioni che diverte chi lo guarda, ma che interroga il rapporto tra le forme geometriche artificiali e quelle naturali.

Nella stanza Elemental non poteva infine mancare un riferimento a Venezia. In questa sala dalla vista unica in cui si contempla nello stesso istante il Canal Grande da una parte e quello della Giudecca dall’altra, si staglia un’opera con protagonista l’acqua. In un gioco di simmetria ed equilibrio, l’artista tedesco George Herold mette insieme cemento, legno e vetro per costruire una struttura multimateriale, una sorta di teca dove vasi di diverse altezze e dimensioni sono appoggiati ad aste di legno inclinate. Interessante il titolo dell’opera associato alla sua collocazione che pare pensata proprio per questa sala di Punta della Dogana, ma che risale a ventiquattro anni fa: Gelandete Horizonte, ovvero ‘orizzonti terrestri’.

Semplicità, delicatezza ed essenzialità sono le parole d’ordine di questa breve retrospettiva attraverso una delle sale di Untitled 2020. A completare il quadro non poteva mancare la purezza. Rei Naito, artista di origini giapponesi da sempre impegnata nello studio della condizione umana, presenta due opere dai colori chiari e dallo stile essenziale. Le sue installazioni parlano della violenza della guerra attraverso forme delicate che contemplano pochissimi elementi: un fiore bianco e un cuscino in seta di organza, piccoli oggetti con cui l’artista si mette in relazione e che per antitesi rappresentano il dolore del popolo giapponese. Rei Naito è, infatti, nata a Hiroshima nel 1961 e il dramma della guerra è nella sua pelle. Come a voler trasformare il male in bene, le sue opere sono il risultato di un esercizio mentale atto a fare della delicatezza il valore più importante. Le sue opere trasmettono serenità e, come a volersi rendere partecipi del periodo in cui stiamo vivendo, parlano di speranza.

Testo a cura di Selene Stradiotto, Storica dell’arte, Mediatrice Culturale presso Fondazione Pinault – Palazzo Grassi & Punta della Dogana
28 ottobre 2020

September 4, 2020No Comments

Venezia stupisce sempre.

È in corso la 77° edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica a Venezia, organizzata dalla Biennale di Venezia e avente sede al Lido di Venezia dal 2 al 12 settembre 2020

Per l’occasione è stata allestita una Mostra, riconosciuta dalla FIAPF (Federazione Internazionale delle Associazioni di Produttori Cinematografici), che vuole favorire la conoscenza e la diffusione del cinema internazionale in tutte le sue forme di arte, di spettacolo e di industria, in uno spirito di libertà e di dialogo. 

Tra le offerte culturali in corso si segnala la mostra Le muse inquiete, La Biennale di fronte alla storia, visitabile fino a martedì 8 dicembre 2020. Organizzata da La Biennale di Venezia nella ricorrenza dei 125 anni dalla sua fondazione, ha sede al Padiglione Centrale dei Giardini della Biennale ed è stata realizzata dall’Archivio storico della Biennale – ASAC. La mostra è curata per la prima volta da tutti i direttori dei sei settori artistici che hanno lavorato insieme per ripercorrere, attraverso le fonti uniche dell’Archivio della Biennale e di altri archivi nazionali e internazionali, quei momenti in cui La Biennale e la storia del Novecento si sono intrecciate a Venezia. 

La mostra propone un itinerario attraverso l’Archivio Storico della Biennale di Venezia, ripercorrendo alcuni momenti fondamentali del Novecento durante i quali guerre, conflitti sociali, scontri generazionali e profonde trasformazioni culturali hanno premuto contro i confini dell’Istituzione veneziana. L’Esposizione presenta documenti storici, materiali d’archivio, fotografie, filmati rari, e opere d’arte provenienti dal prestigioso Archivio ASAC e da altri fondi e istituzioni nazionali.

Qui è scaricabile tutto il programma.

Ma le novità non finiscono. A stupire c’è anche Ocean Space. Situato nella Chiesa di San Lorenzo, e inaugurato nel marzo 2019, Ocean Space è un’ambasciata per gli oceani, un centro che incoraggia un maggiore impegno e l’azione collettiva sulle questioni più urgenti che gli oceani devono affrontare oggi. Tra gli obiettivi che TBA21–Academy, suoi fondatori e guide, vogliono raggiunere, c'è la valorizzazione dello spazio come un nuovo centro globale per catalizzare l’alfabetizzazione, la ricerca e il sostegno di tematiche oceaniche attraverso l’arte. 

Oggi è in mostra OCEANS IN TRANSFORMATION. TERRITORIAL AGENCY fino al 29 Novembre. Attraverso video art e proiezioni, questa mostra intende sensibilizzare il pubblico sul mutamento degli oceani come specchio di un pianeta terra che si evolve in fretta.

Gli oceani sono costantemente soggetti a rapide trasformazioni, e tuttavia la conoscenza delle stesse procede ancora molto lentamente, paralizzata tra forme di segregazione culturale consolidate e separazione tra attività umane di terra e di mare. Questa divisione deve essere rivista per affrontare con urgenza le vaste trasformazioni in atto negli oceani.

Qui la presentazione digitale.

Rivolgendo lo sguardo su una Venezia senza tempo, sono anche le mete più tradizionali a stupire oggi. L’iconico Caffè Florian porta i suoi tavolini in Piazza, restituendo alla città uno dei principali scopi del luogo stesso: la condivisione. Le piazze storicamente sono il centro della città, occasione di ritrovo, di scambio merci, di chiacchiere. Forse, in questa nuova realtà, tra distanziamento sociale e coatta occupazione del suolo pubblico da parte del locali (per pura necessità) Piazza San Marco vedrà il suo suolo ripopolato.

Intramontabile è il Museo Olivetti nel vecchio edificio delle Procuratie sul bordo settentrionale della piazza. Lo show-room è stato progettato da Carlo Scarpa, uno dei più importanti architetti italiani del XX secolo, incaricato da Adriano Olivetti nel 1956, dopo aver ricevuto l'Olivetti Architecture Award. Tra le produzioni Olivetti in mostra, si segnalano chicche architettoniche come la scultorea porta di ingresso e la fluttuante scala che collega il piano terrra al primo piano. Lastre di pietra collegate tra loro con un perno centrale in ottone.

Infine, nel ghetto ebraico, ha da poco riaperto La Casa dei Tre Oci, così chiamata per le tre grandi finestre che si affacciano sul bacino di San Marco, rendendo inconfondibile il palazzo. Recentemente restaurato dalla Fondazione di Venezia, il palazzo, con la direzione artistica del critico di fotografia Denis Curti, ospita mostre fotografiche ed iniziative volte alla promozione di un linguaggio contemporaneo. Ora e fino al 10 Gennaio 2021 si può vedere JACQUES HENRI LARTIGUE. L'INVENZIONE DELLA FELICITA'. FOTOGRAFIE che racchiude 120 immagini dell’autore francese di cui 55 inedite. Latrigue deve la scoperta del suo lavoro ad una importante retrospettiva al MoMA di New York nel 1963. Da lì, un successo ormai in tarda età, ma che gli ha permesso di essere riconosciuto in tutto il mondo.

November 27, 2016No Comments

Gita di classe alla Casa-Museo Boschi Di Stefano

Con la classe, come fossimo al Liceo, sono andata a visitare la Casa – Museo Boschi Di Stefano.
(Ebbene sì, queste sono le gioie di aver scelto una facoltà a metà strada tra economia e lettere: quando è il turno di lettere, ci portano ancora in gita!).

Era la dimora dei coniugi Antonio Boschi e Marieda di Stefano, grandi collezionisti del ‘900, dei quali ora si possono ammirare una selezione di 200 delle oltre 2000 opere che hanno raccolto nel corso della loro vita.

Le stanze vanno in ordine cronologico, presentando anche un raggruppamento tematico e ognuna custodisce veri e propri capolavori del secolo.

L’arte del ‘900, però, potrebbe essere non così semplice ed immediata da comprendere se non si è appassionati (o, banalmente, se non la si è trovata nel programma di storia dell’arte del Liceo!). E' quindi piacevole capire quale opera colpisce comunque, anche lo spettatore inesperto, o quale è possibile apprezzare con poche e basiche nozioni in più.

La prima è indubbiamente l’opera di Umberto Boccioni nella Sala 2, in cui si ha l’onore di ammirare un Boccioni inedito, pre-futurista. Nei primi anni del ‘900 egli soggiornava da poco a Milano e tra le sue influenze iniziali, si notano qui quelle espressioniste, con pennellate veloci e molto spesse, colori non fedeli alla realtà, ma derivanti da una propria intima visione del reale. A Boccioni era stata dedicata una retrospettiva a Palazzo Reale di Milano, nella primavera dell’anno corrente, che metteva in scena la maturazione artistica del pittore, dagli esordi legati alla tradizione, fino alle evoluzioni divisioniste. È interessante dunque capire anche il processo grazie al quale gli artisti arrivano a sviluppare la loro massima espressione artistica ed il loro proprio stile, piuttosto che ammirarne solo le opere “di punta”.

Umberto Boccioni, Testa di vecchio, 1909

Umberto Boccioni, Testa di vecchio, 1909

Proseguendo si trova il bagno. Non mi era mai capitato prima d’ora di vederne uno con appese alle pareti grosse tele e ringrazio mia madre per non avere mai avuto un’idea simile, altrimenti sarebbero state messe a dura prova dalla sottoscritta ogniqualvolta utilizzassi l’acqua.
Il bagno presenta il suo aspetto originale, probabilmente la sig.ra Marieda era molto precisa ed attenta.

Bagno di Casa-Museo Boschi Di Stefano con opere di Ralph Rumney

Bagno di Casa-Museo Boschi Di Stefano con opere di Ralph Rumney

Il Novecento è stato un periodo difficile, caratterizzato dalla guerra. A contrastare la frenesia dei Futuristi vi era il movimento “Novecento”, che radunava artisti come Funi, Marussig, Carrà, Bucci e voleva riportare l’arte ad un rigore originale, riesumando quei valori eterni dell’arte tradizionale classica, come le forme pure ed una composizione equilibrata del disegno. È a questo movimento che viene dedicata la Sala 4, in cui spiccano ritratti di uomini e donne quasi statuari, in posizioni rigide e plastiche. I richiami sono al pensatore di Rodin e alle nature morte classiche, riviste qui in chiave moderna, con una concretezza quasi cinica, manifestazione dello stato d’animo post Prima Guerra Mondiale.

La Lettrice, Piero Marussig, 1935 e Il Pensatore, August Rodin, 1902

La Lettrice, Piero Marussig, 1935 e Il Pensatore, August Rodin, 1902

Sala 4, il Novecento italiano, camera degli ospiti

Sala 4, il Novecento italiano, camera degli ospiti

Sarà perché sono da poco stata a Venezia, ma le opere di Filippo de Pisis raffiguranti la Serenissima mi hanno proprio colpita. Guardandole si respira l’aria veneziana, ne si ammira la luce che si riflette sull’acqua e sugli edifici, gli scorci, la folla confusa della quale si percepisce solo il continuo movimento e le geometrie spezzate dai riflessi.

Filippo de Pisis, Palazzo Ducale, primi anni 30 del XX sec.

Filippo de Pisis, Palazzo Ducale, primi anni 30 del XX sec.

Arriviamo così all’opera che mi ha colpito di più: L’Annunciazione di Alberto Savinio (fratello del genio della metafisica Giorgio de Chirico). L’opera è assurda, contiene tutte le stranezze che in quel tempo si potevano trovare sia nell’arte surrealista, che metafisica ed è al contempo geniale.

L’artista utilizza un forte simbolismo per affrontare temi che trascendono dalla tela stessa e riguardano valori più alti.

Innanzitutto si nota la figura femminile, Maria, con la testa di Pellicano. Savinio soleva utilizzare gli animali per evidenziare specifiche caratteristiche del personaggio che raffigurava. Il Pellicano è infatti simbolo medievale di bontà e amore materno, perché si riteneva che in caso di necessità fosse capace di sventrare con il becco il proprio corpo per nutrire i figli.

Può così sembrare estremo, al limite della blasfemia, raffigurare Maria in questo modo, ma l’associazione richiama in realtà valori condivisi proprio dalla stessa Religione Cristiano-Cattolica.

La stanza è piccola, intima e l’Arcangelo Gabriele – qui chiaramente affetto da gigantismo – è inquietante e quasi spaventoso, ma le sue dimensioni richiamano la grandezza dello stesso mistero della scena qui raccontata.

Il taglio della finestra sproporzionato, ed il cielo nero che fa da sfondo all’Arcangelo, sono solo alcuni degli elementi che disorientano lo spettatore.

In Savinio, quindi, l’Annunciazione diviene simbolo del rapporto dell’uomo con la Divinità, del continuo confronto tra il nostro essere minuscoli di fronte all’immensità di Dio o della Natura stessa, concetti che resuscitano riflessioni tipiche del Romanticismo e ciò che racchiude la singola parola “sublime”.

Alberto Savinio, l'Annunciazione, 1932

Alberto Savinio, l'Annunciazione, 1932

Verso la fine della visita troviamo una sala completamente dedicata a Lucio Fontana e alle sue molteplici visioni di “concetto spaziale”, che è anche il nome comune dato alle sue opere. Si sfocia poi in tematiche sempre più universali, con pittori che hanno fatto delle loro riflessioni sul cosmo e sul nucleare tele assai suggestive.

Sala 9, Lucio Fontana, Concetto spaziale. Attese

Sala 9, Lucio Fontana, Concetto spaziale. Attese

Cesare Peverelli, Combattimento di insetti, 1955

Cesare Peverelli, Combattimento di insetti, 1955

November 17, 2016No Comments

Tancredi, per una Venezia frammentata!

Cercate una buona scusa per andare a Venezia nel weekend? La Biennale quasi al termine e l'ebbrezza di potervi imbattere nella famosa acqua alta veneziana, non bastano? Beh, Da Peggy Guggenheim è in corso una retrospettiva entusiasmante su Tancredi!

Chi è Tancredi Parmeggiani?
Potrebbe non essere necessario conoscere la sua storia per capire che fosse uno dei più grandi artisti italiani del dopoguerra. È sufficiente sapere che è stato l'ultimo artista, assieme a nientepopodimeno che Jackson Pollock, ad aver sancito un vero e proprio contratto con madame Peggy Guggenheim.

Ciò che risulta senza ombra di dubbio molto affascinante, è il rapporto che Peggy instaurava con gli artisti che decideva di rappresentare. Desiderava per loro fama in tutto il mondo, era disposta a sponsorizzarli nonostante potessero sembrare del tutto folli agli occhi dei più e nulla poteva fermare la sua incredibile determinazione e fiducia nel suo infallibile fiuto.

Ma torniamo a noi.

La mostra su Tancredi ospitata nella sede della Peggy Guggenheim Collection è una sorta di ritorno a casa per il grande artista, che ha sempre considerato Venezia come la sua città del cuore. La sala più appagante è, infatti, quella ad essa dedicata. Grazie alla sovrapposizione di più strati del tipico segno frammentato, che Tancredi ha sviluppato nelle sue opere degli anni 50 del '900, si può vedere emergere una impalpabile Venezia. Tenue, nonostante i colori talvolta accesi; delicata, grazie al mare, alla pioggia e ai riflessi della città in questi e di questi nella città.

Tancredi Parmeggiani, a proposito di Venezia, 1958

Tancredi Parmeggiani, a proposito di Venezia, 1958

Ciò che traspare dalle tele dell'artista è esattamente quella magia che tutti noi respiriamo a pieni polmoni camminando sulla Riva degli Schiavoni.

Meritevole è ritrovare un Tancredi in questo contesto, assaporarlo dopo un appagante giro per le splendide vie della città e dopo essersi riempiti gli occhi dalle Procuratie di Piazza San Marco.

Tancredi Parmeggiani exhibition, Peggy Guggenheim Venice

Tancredi Parmeggiani, Peggy Guggenheim Venice

L'esposizione offre una panoramica completa dei temi che caratterizzano lo sviluppo artistico del pittore, troviamo gli esordi giovanili, gli autoritratti cubisti su carta, lo sdegno in reazione alla guerra fredda, il periodo di crisi, l'esistenzialismo e il cambiamento di linguaggio. La sala conclusiva, dedicata ai collage-dipinti, risulta meno in grado di colpire, a causa del forte impatto visivo che hanno invece le sale precedenti, con tele più grosse, fortemente evocative e dall'effetto immediato.

Tancredi Parmeggiani, Fiori dipinti da me e da altri 101%, 1962

Tancredi Parmeggiani, Fiori dipinti da me e da altri 101%, 1962

Le istituzioni scomodate per questa esposizione sono tante e molto note, tra le quali spiccano il Moma e il Brooklyn Museum di New York e l'importante galleria Mazzoleni di Torino. Molte tele tornano semplicemente a casa, donate in precedenza dalla Guggenheim stessa, mentre altre vengono rispolverate dagli archivi della sua collezione.

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