December 20, 2023No Comments

Pittura Italiana Oggi, una collettiva sull’individualismo contemporaneo

“Pittura italiana oggi” è il titolo della grande mostra che si tiene alla Triennale di Milano dal 18 novembre 2023 al 18 marzo 2024. Curata da Damiano Gullì, la mostra presenta il lavoro di 120 artisti italiani di diverse generazioni, nati tra il 1960 e il 2000, che hanno scelto la pittura come mezzo di espressione artistica. L’obiettivo dell’esibizione è di mostrare la ricchezza e la complessità della pittura italiana contemporanea, che non si riduce a una sola tendenza o a una sola scuola, ma anzi si articola in una molteplicità di linguaggi, stili, temi e tecniche. La mostra si sviluppa in 12 sezioni tematiche, che esplorano le diverse sfaccettature della pittura italiana, da quelle più legate alla tradizione a quelle più innovative e sperimentali. Da quelle più sociali e politiche a quelle più intimiste e personali. E ancora, da quelle figurative e narrative a quelle più astratte e geometriche. La mostra è accompagnata da un catalogo illustrato, edito da Skira, che contiene i testi critici dei curatori e dei membri dell’honorary board, composto da personalità di rilievo nel campo dell’arte internazionale, come Francesco Bonami, Suzanne Hudson e Hans Ulrich Obrist. Pittura italiana oggi è anche un’occasione per celebrare il centenario della Triennale di Milano, istituzione storica dedicata alla promozione della cultura, del design e dell’architettura.

L'allestimento è stato progettato dallo Studio Italo Rota, che ha ideato un sistema modulare che permette ai visitatori di muoversi liberamente tra le opere, sperimentando una disposizione non cronologica ma dinamica. Anche i materiali utilizzati sono sperimentali, infatti il legno dei pannelli è interamente riciclato. Lo Studio Italo Rota ha anche curato il design delle opere murali site-specific, commissionate a diversi artisti per creare un dialogo tra il medium pittorico e il tema dello spazio e dell'architettura. Tra le opere site-specific, ci sono: Insostenibile dare un titolo (Bruciare da dentro) di Gianni Politi, un grande dipinto a olio su tela che occupa tutta la parete del foyer della Triennale, creando un effetto di esplosione cromatica.

Gianni Politi, Insostenibile dare un titolo, Bruciare da dentro, courtesy of Galleria Lorcan ONeil
Gianni Politi, Insostenibile dare un titolo, Bruciare da dentro, courtesy of Galleria Lorcan ONeil

Frana e fango, 2023 di Roberto Coda Zabetta pensato per il cavedio esterno di Triennale in cui colori, segni e forme si fondono con il contesto architettonico in cui i colori sembrano specchiare un cielo terso.

Frana e fango, 2023 di Roberto Coda Zabetta 

Composite I: La Pecora Quadricorna, 2023 e Composite II: L’Olio Selvatico, entrambe di Giulia Mangoni, che mette in scena due temi a lei cari, che ha vissuto in prima persona: la cura di una razza di pecora in via d’estinzione e la produzione di un olio da ulivi selvatici. Unisce così la realtà rurale e periferica a quella immaginifica e sarcastica a quella urbana. 

Tra i temi trattati in mostra emerge un fil rouge intimista e sensuale, fotografia di nuove forme di affetto e scambio, a volte ingenue, a volte promiscue, ora morbose e ora indifferenti. La prima tela a trascinarci come intrusi in una scena notturna, silenziosa, che ha luogo in uno spazio domestico illuminato da una luce un po’ marziana, è Tra i tuoi vuoti di Pietro Moretti. L’opera è uno scorcio dell’abbraccio di due amanti che inglobano i reciproci corpi al punto da esserne teneramente trapassati e inflitti. La figura che si scorge più chiaramente è quella di un ragazzo dal corpo poroso, ma dallo sguardo dolce. Forse quel corpo inafferrabile allude ad un altro tipo di inconsistenza, quella interiore. Ci si ritrova così a sbirciare un senso di goffo che attraversa l’intimità della scena e la pittura si fa veicolo di questa incompiutezza, dell’impossibilità di definire i confini emotivi dei sentimenti e degli oggetti e, al tempo stesso, la possibilità delle varie realtà di convivere anche così, in questo stato immateriale, come emozioni taciute e inaspettate.

Un altro immaginario diffuso e messo in scena dagli artisti mostra una realtà tutt’altro che terrena, decisamente sovrannaturale e fiabesca.

Pagura sul bagnasciuga, 2022 di Flaminia Veronesi ne è testimonianza. Un acrilico su tela che raffigura una pagura avvolta da un paesaggio blu. L'opera è un omaggio fragilità umana, ma anche alla sua continua metamorfosi, potente e rivoluzionaria. Una lingua di terra verde all’orizzonte fa intendere il forte legame con la realtà, che questo mondo marino e fantastico, non abbandona.

Summer Solar Power aka “Calipso”, 2021 di Thomas Braida è un olio su tela che rappresenta un mare stridente, abbagliante, assordante. I contrasti argento da un lato e la coda di una sirena viscosa e colorata dall’altro, che ha accanto una lattina accartocciata come a conferire un presentimento sinistro. 

Flaminia Veronesi, Pagura sul bagnasciuga, 2022

Questo agglomerato di tele, di stili, di fantasie, di messaggi ed interpretazioni presenta uno spaccato della pittura italiana contemporanea come altamente frammentato e discontinuo. Camminando si ha l’impressione che le opere non dialoghino veramente tra loro ma che sgomitino ciascuna per attirare l’attenzione dello spettatore su di sé, sul proprio tema, sulla propria storia. Ne emerge un’arte anticonformista, prodotta da interpreti insofferenti. Il Dio celato di queste tele è l'individualismo, espressione del concetto del singolo. Gli artisti proiettano su tela (o altro) il loro parere, la loro realtà e la loro visione del mondo. Gli accostamenti fatti da Gullì sono dunque per la maggior parte dettati da un equilibrio di forma, di architettura della scena e solo raramente dalla condivisione di significato. Ciò che sorprese dunque trovare è similitudini distanti e non voluti, temi ricorrenti e coincidenze espressive. From Just Married Machine, 2022 di Pietro Roccasalva è il risultato di una grande stratificazione che vede il suo principio nella natura morta - una tavola imbandita - che apre il film di Pier Paolo Pasolini La Ricotta. Nel 2012 Roccasalva re-immagina quella tavola imbandita trasformando gli elementi di cui era composta in una scena densa e grandiosa che mette insieme figure umane, animali e oggetti. Il dipinto, vibrante, ritrae uno dei protagonisti di quel tableu vivant: lo sposo. Egli è immerso da una moltitudine di oggetti in scala umana che affollava la scena originaria del film. L’approccio di Roccasalva alla pittura incrocia linguaggi e tecniche diverse che, alimentandosi a vicenda, generano continue nuove prospettive creando una superficie vibrante e cangiante.

Pier Paolo Pasolini è protagonista di un’altra tela presente in mostra. Questa volta non attraverso i suoi film, ma lui stesso in persona nel momento tragico del suo assassinio. Hostia, 2022 di Nicola Verlato è una gigantesca pittura scandita da uno schema tripartito che manifesta la sua architettura riempiendo tutta la scena. Al centro del dipinto Pier Paolo Pasolini che cade capovolto verso un Ade costellato di altri corpi come lui stesso descriveva in Salò. La scena è apocalittica e solenne, un richiamo alle tele sacre piene di dettagli e di figure secondarie a fare da contorno al protagonista. Un esplicito richiamo alla pittura classica in cui venivano raffigurate nel dettaglio le figure di contorno, i paesaggi in secondo piano e un senso di drammaticità esistenziale dato dal sapiente uso della luce e del chiaroscuro, altro richiamo alle tradizioni del passato.

Nicola Verlato, Hostia, 2022

Verlato allude ad una tridimensionalità resa dalla stratificazione di un racconto che vuole però ancora rimanere fortemente legato alla bidimensionalità. Percorrendo l’esibizione si incontreranno invece esempi di artisti che utilizzano la pittura in maniera non convenzionale per raggiungere una dimensione che và ben oltre la tela piatta creando nuove possibilità di rappresentazione dello spazio. 

Alcuni artisti hanno sperimentato con la prospettiva, la geometria, la luce, il colore, la materia, la forma, per creare effetti di profondità, movimento, illusione, astrazione. Altri artisti hanno utilizzato la tela come supporto per applicare o inserire elementi tridimensionali, come oggetti, sculture, collage, tagli, buchi, che interagiscono con lo spazio circostante e con lo spettatore. In entrambi i casi, la pittura diventa un mezzo per esprimere una visione del mondo che non si limita alla superficie, ma che si apre a una prospettiva diversa.

Un’esempio è l’opera di Giuliana Rosso Three House, 2023, che si sviluppa su tre fogli di carta di cui una sul pavimento. L’angolo che si crea con l’intersezione di questi fogli crea per l’artista un mondo in cui tutto è possibile. In questo caso la scena rappresenta un rituale ormai diffuso tra le nuove generazioni, ovvero quello della challenge. Un ragazzo sembra compiere un gesto estremo, quello di lanciarsi da una finestra spettrale mentre viene ripreso da uno smartphone. Sulla parete opposta una ragazza impaurita si nasconde, Il risultato è la creazione di un mondo parallelo in cui lo spettatore è escluso ed estraneo.

Giuliana Rosso, Three House, 2023

A riflettere sul rapporto tra spazio e oggetto come raffigurazione è anche l’opera di Alice Visentin. Una scultura muta, con le parole cadute a terra, fatte scivolare giù da questa bocca immensa quasi una bocca della verità, un totem capace di smascherare e spaventare lo spettatore che aggira divertito. A sconfinare lo spazio vi è anche l’utilizzo di ogni superficie come utile per raccontare il suo messaggio. Nella rappresentazione di Visentin nulla viene sprecato, anche il retro di questa maschera si fa messaggio, specchio argento che riflette la luce, ricorda l’acqua e abbaglia chiunque si ponga al suo cospetto.

Installation view, foto di Piercarlo Quecchia, DSL Studio, © Triennale Milano

Pittura italiana oggi vuole offrire una panoramica ampia e articolata della produzione pittorica italiana degli ultimi decenni, mettendo in evidenza la varietà e la vitalità di questo medium artistico. Visitando la mostra si capisce come la pittura non sia un linguaggio omogeneo e uniforme, ma si esprime attraverso una pluralità di approcci, stili, temi e tecniche, che riflettono le diverse sensibilità, visioni e ricerche degli artisti. Abbiamo trovato nomi affermati e riconosciuti a livello nazionale e internazionale, ma anche giovani emergenti e talenti ancora poco noti al grande pubblico. La mostra non segue una logica cronologica o tematica, ma propone un dialogo aperto e stimolante tra le opere, che si confrontano e si contaminano tra loro, creando nuove connessioni e suggestioni. Pittura Italiana Oggi è quindi un’occasione unica per scoprire e apprezzare la ricchezza e la complessità di questa tecnica antica che si pensava ormai futile, non necessaria. Essa invece non si lascia ridurre a una sola tendenza o a una sola scuola, ma anzi si manifesta in una molteplicità di espressioni, originali e significative.

October 18, 2020No Comments

Intervista a Teti, street art

Quattordicesimo appuntamento de “il salotto creativo”. Protagonista TETI, street artist milanese che dopo i primi approcci in strada, si sposta in studio a sperimentare con i materiali industriali, protagonisti di ogni sua opera. Tra i progetti significativi “axonometry” con cui inizia il suo percorso alla ricerca di una grafica primitiva, scevra da ogni ornamento o alla più recente collaborazione con @emanueleferrariph noto fotografo di moda

Guarda qui l'intervista!

October 13, 2020No Comments

Carla Accardi. Contesti

Museo del Novecento, Milano
9 ottobre 2020 - 27 giugno 2021

Al Museo del Novecento di Milano approda la prima mostra monografica dedicata da un’istituzione pubblica a Carla Accardi (1924-2014), a sei anni dalla sua scomparsa.

Carla Accardi, originaria di Trapani, si trasferisce a Roma nel '46, città che le permette di incontrare i suoi compagni di vita e di percorso artistico, tra cui il futuro marito Antonio Sanfilippo. Conosciuta come la più tenace presenza femminile nel gruppo astrattista "Forma", fondato nel 1947, con i colleghi Attardi, Consagra, Dorazio, Guerrini, Perilli, Sanfilippo, Turcato.

ph. Robeto Pini - Allestimento mostra Carla Accardi. Contesti

La retrospettiva, ospitata nelle sale del Museo del Novecento, si apre così con una sala corale nella quale – grazie a importanti prestiti di opere di Piero Dorazio, Achille Perilli, Pietro Consagra, Giulio Turcato e Antonio Sanfilippo – si testimonia la scelta astrattista del gruppo Forma, seguita da un approfondimento sulla svolta di Accardi del 1953, quando avviò la pittura in bianco su nero e la serie dei Negativi. Il 1953 è per Accardi un anno di insolito isolamento, ma densissimo di studi schizzati su taccuini o dipinti direttamente a terra, e che mettono in atto un disgregarsi conflittuale di dinamiche tracce segniche. L’artista mette a frutto sollecitazioni ricevute dalla cosiddetta pittura informale, centrata sul valore in sé del segno o del gesto, e che aveva conosciuta in una serie di viaggi a Parigi e nel corso delle Biennali di Venezia. Presto Accardi elabora un linguaggio personalissimo costituito da maglie di segnibianchi, franti o riavvolti, su fondo nero. Si tratta di fantastiche sedimentazioni di memorie visive che scorrono dagli abbagli di luce sul mare e sulle saline della natia Trapani fino ai netti contrasti di bianco e nero di fotografia e pellicole cinematografiche.

Carla Accardi suo studio di Roma, 1974 circa, foto M. Grazia Chinese

La terza sala racconta del sodalizio con il critico internazionale Michel Tapié, che raggiunse il suo culmine con le Integrazioni e i Settori, anticipazioni di un ritorno al colore, ottico e vibratile, vero protagonista delle opere segniche degli anni sessanta. Grande spazio è riservato poi alle ricerche di Accardi sui nuovi materiali. Tra le sperimentazioni plastiche e l'utilizzo di colori fluorescenti; l'introduzione dalla primavera del 1965 del "sicofoil" come supporto al suo "segno". La ricerca di Accardi si spinge fino allo sconfinamento spaziale, con installazioni e ambienti, ma anche con i lavori più concettuali legati inevitabilmente alla sua militanza femminista.

Carla Accardi, Rotoli in sicofoil dipinto 1965-69, Galleria Salvatore Ala, N.Y 1989

Si giunge così alle ricerche degli anni ottanta, con il ritorno alla pittura, a materiali e tecniche meno artificiali, a una rivisitazione del proprio precedente repertorio segnico e dei proprio riferimenti storici, Matisse in primis, elementi che si prolungano nella ricerca di Accardi fino agli anni novanta e duemila, testimoniati nelle ultime due sale di questa ricca retrospettiva.

Carla Accardi, Virgole, 1981, MUSEUM Bagheria.jpg

Il progetto espositivo, prodotto da Comune di Milano|Cultura, Museo del Novecento ed Electa, fa parte del palinsesto “I talenti delle donne”, promosso e coordinato dall’Assessorato alla Cultura, che fino ad aprile 2021 proporrà iniziative multidisciplinari – dalle arti visive alle varie forme di spettacolo dal vivo, dalle lettere ai media, dalla moda alle scienze – dedicate alle donne protagoniste nelle arti e nel pensiero creativo. Curata da Maria Grazia Messina e Anna Maria Montaldo con Giorgia Gastaldon, la mostra si inserisce con coerenza in una linea di ricerca che distingue il recente operato del Museo: la riproposta e la rilettura di personalità femminili attestate del Novecento italiano, quali Margherita Sarfatti, Giosetta Fioroni e Adriana Bisi Fabbri, o la ri- contestualizzazione storico-artistica di figure finora disattese ma di primaria importanza nella ricerca intermediale della seconda metà del Novecento, come Marinella Pirelli, Amalia del Ponte, Renata Boero.

ph. Robeto Pini - Allestimento mostra Carla Accardi. Contesti

July 15, 2020 — Comments are off for this post.

Milano e la ripartenza

di Isabella d'Ambrogio

Milano ha riaperto finalmente, una città che accoglie circa dieci milioni di turisti all’anno provenienti da ogni angolo del mondo, capitale della moda insieme a New York e Parigi ma anche punto di riferimento del design del mobile, grazie anche alla Brianza, mente e braccia del mondo del mobile e di tutto ciò che gli ruota intorno che non si limita a esporre in città ma che esporta in tutto il globo: da Pechino a San Francisco, da Dubai a Mosca.

Dopo un periodo di fermo dovuto al lockdown, Milano e la sua arte si risvegliano come d’incanto da quello che sembra essere stato un brutto sogno, un incubo che l’ha costretta a bloccarsi.

Un blocco fisico ma non intellettuale, infatti in questo periodo numerosissime sono state le iniziative del Comune e degli enti privati per favorire la divulgazione della cultura e dell’arte attraverso mezzi telematici come le visite virtuali ai musei e alle mostre e le dirette instagram che hanno consentito a milioni di turisti 2.0 di godersi la vista di magnifiche opere d’arte esposte nei luoghi che rappresentano la nostra città: Palazzo Reale, il Mudec, Fondazione Bracco sono solo alcuni dei nomi dei luoghi che hanno saputo reinventarsi in un momento così difficile per l’uomo.

Un virus, più o meno virulento, più o meno curabile che ha lasciato un numero di vittime enorme, che ha colpito per altro una delle regioni più produttive dell’Italia ma che non ha impedito che la Lombardia si fermasse, al contrario ha dato la possibilità di combattere ancora più ferocemente per rialzarsi, dando prova, ancora una volta che Milano non si ferma mai.

E oggi, in un mondo in cui l’arte è interpretabile, poliedrica, e alla portata di tutti, è bello poter dimenticare tutto per concentrarsi su forme, colori e materiali per riscoprire l’importanza per l’amore per il bello, proprio come il movimento dell’estetismo ci ha insegnato.

Dal 25 maggio è possibile tornare a essere i visitatori in incognito di spazi di valore storico e artistico che si nascondono nei meandri della Lombardia così come tornare ad apprezzare in live le opere esposte, che siano delicate pennellate di olio su tela o figure scolpite in grossi blocchi di marmo.

E così si può visitare, previa prenotazione, la prima mostra in Italia dedicata a Georges de La Tourospitata dalle incantevoli sale di Palazzo Reale fino al 27 settembre, ma anche decidere di compiere un’esperienza immersiva alla scoperta dei misteri ultraterreni dell’Antico Egitto con la mostra Viaggio oltre le tenebre. Tutankhamon RealExperience® fino al 30 agosto sempre a Palazzo Reale, o la mostra dedicata a Cotroneo, un unicum, disponibile fino al 26 luglio, che ha ad o oggetto la fotografia museale, quindi una serie di scatti che ritraggono i visitatori mentre ammirano le opere, facendo così diventare il museo stesso il protagonista dell’arte.

Ridiventa possibile anche farsi un giro al Mudec per vedere o rivedere la loro esclusiva Collezione Permanente o ancora fare un giro nel weekend al Museo del Novecento facendo un viaggio metaforico nell’arte contemporanea magari scoprendo il percorso evolutivo dell'artista Valentino Vago attraverso gli elementi cardine della sua pittura cioè la luce e il colore a cui è stata dedicata la mostra “Focus Valentino Vago” e per chi ancora non se la sentisse di uscire il Museo del Novecento ha messo a disposizione l’esposizione online di numerose opere fra cui “IL QUARTO STATO”  a 100 anni dall’acquisizione dell’opera, e come questa iniziativa tante altre, talmente tante che sarebbe impossibile elencarle e proporle tutte.

Hanno riaperto anche Casa Boschi de Stefano, Triennale Milano comprensiva del Museo del Design e dei suoi giardini, e Fondazione Prada oltre che i   due musei più visitati di Milano: la Pinacoteca di Brera e il Cenacolo, per cui  Il Bacio di Hayez e la celebre Ultima Cena di Leonardo sono senza dubbio da vedere o rivedere.

L’ingresso ai musei è garantito previa prenotazione online sul sito vivaticket.it e per i biglietti a pagamento è obbligatorio l’acquisto del biglietto online. I musei civici sono tutti aperti, per ora, dalle 11,00 alle 18,00 e gli ingressi vengono contingentati sulla base delle misure di sicurezza oggi in vigore. L’uso di mascherina è obbligatoria e i visitatori dovranno attenersi al “percorso a senso unico” stabilito dai vari musei.

Comodamente dal divano di casa propria o andando nei luoghi culto dell’arte meneghina oggi non ci sono più scuse per non immergersi nella cultura.

E ed è estremamente piacevole tornare a sentire il brivido dell’emozione di essere di nuovo a contatto con qualcosa di molto più grande di noi, di qualcosa di intangibile,di  qualcosa che in qualche modo ci da la spinta per tornare a sognare.

Articolo di Isabella d'Ambrogio

May 26, 20171 Comment

A “caccia” di nuovi spazi espositivi!

È sempre piacevole andare a spasso per il centro di Milano e tra un panzerotto di Luini, un salto alla Rinascente e un selfie al Duomo, finire tra i corridoi dell’ultima mostra in corso a Palazzo Reale. A volte, però, è bello anche andare oltre le mostre mainstream, abbandonare quel senso di sicurezza che un’esposizione "di grido" ti può dare, cercando di scoprire nelle numerose realtà espositive milanesi nate di recente, che cosa c’è di interessante e rompere così le mura della tanto amata comfort zone. Lo facciamo prenotando viaggi “zaino in spalla” in Thailandia, perché non farlo anche con i musei?!

Così ho fatto, e ho deciso di avventurarmi con un’amica nell’immensa area degli ex Frigoriferi Milanesi dove adesso ha sede la Open Care. Essa si occupa di servizi per l’arte a tutto tondo e, dunque, non poteva proprio mancare un luogo in cui creare mostre molto ricercate e ben studiate, promuovendo il collezionismo privato e in cui esporre a scopo di valorizzazione e studio, le collezioni d’arte conservate proprio presso il loro stesso Caveau (il più grande d’Europa, btw).

Attualmente – e fino al 6 giugno – è in corso “IL CACCIATORE BIANCO / THE WHITE HUNTER”, una mostra che mira a farci riflettere sulle costruzioni mentali di noi occidentali riguardo alla civiltà africana e alle nostre pretese (nel corso della storia) di “civilizzarli” e “modernizzarli”. Ne risulta un percorso pieno di paradossi e contrasti, che la rendono estremamente dinamica e mai noiosa.

Inizialmente, viene preso in giro lo spettatore negli stereotipi di come viene visto il popolo africano, questo tramite l’opera di Pascale Marthine Tayou, che riproduce all’ingresso una sorta di capanna primordiale, allestita con souvenir di vario genere, ricostruzioni moderne di feticci africani, totem trasparenti, presumibilmente di vetro o simili e, dunque, che poco hanno a che fare con quelli originali.

Pascale Marthine Tayou, ingresso mostra, capanna

Pascale Marthine Tayou, ingresso mostra, capanna, ph. Alessandra Di Consoli

L’ingresso è quindi da mero turista, nonostante si percepisca già la pungente ironia, ma è dalla sala successiva in poi che prende forma il significato del titolo “il cacciatore bianco”, con tutte le sue possibili accezioni e comincia a farsi sentire il peso del nostro passato, ricordandoci che noi storicamente siamo colonizzatori. Ecco che ci viene presentato un modellino della fabbrica FIAT che sarebbe dovuta essere costruita a Trpoli e un video “Pays Barbare”, che parla della pretesa della civiltà occidentale di portare a tutti i costi la nostra modernità in Africa.

progetto per stabilimento FIAT a Tripoli, ph. Daniele Pio Marzorati

progetto per stabilimento FIAT a Tripoli, Peter Friedl, ph. Daniele Pio Marzorati

Provocazioni ed immagini dal duplice significato sono il filo conduttore della mostra, che bisogna visitare con molta cura, prendendosi tutto il tempo necessario per cogliere il dualismo celato dietro ad ogni opera. Sicuramente di forte impatto è il video in cui si vedono accostate immagini di vasi aggiustati grossolanamente come fossero cuciti e immagini di vere e proprie suture di operazioni di chirurgia plastica, e vi consiglio di tenere a mente quel concetto di riparazione verace con ago e filo, perché lo si ritrova nelle opere successive dell’artista Nicholas Hlobo, che ha la capacità di ricamare con del filo di raso qualsiasi superficie.

Nicholas Hlobo, Umakadenethwa, 2004-2007, legno, nastro e camera d'aria, cm h 190. Collezione Bianca Attolico. Courtesy Extraspazio - Roma

Nicholas Hlobo, Umakadenethwa, 2004-2007, legno, nastro e camera d'aria, cm h 190. Collezione Bianca Attolico. Courtesy Extraspazio - Roma

Un altro duplice concetto interessante, è quello presentato riproponendo la mostra sull’arte negra presentata alla Biennale di Venezia del ’22. In quel tempo l’intento era quello di presentare sculture di arte africana, in quanto arte e dunque con tutta la dignità del caso, non come fossero reperti archeologici o simboli religiosi di una lontana civiltà da studiare. Questa scelta ovviamente non venne colta dai più e venne criticata molto all’epoca, anche perché tale esposizione era  presentata dopo una retrospettiva dedicata a Canova ed alle sue magnifiche statue candide e perfette nella loro idealità. Un contrasto che forse risulterebbe troppo forte persino oggigiorno. 

Piano piano, il dialogo tra lo stereotipo occidentale della civiltà africana, e la capacità di giocare su di esso dell’arte africana stessa, continua e ci accompagna verso gli spazi finali della mostra, in cui ci si imbatte in una sorta di passerella tra degli arazzi meravigliosi, che si stagliano come manifesti di musei di arte contemporanea africana, in realtà mai esistiti. Il gioco prosegue con simpatiche parrucche che richiamano quelle solitamente utilizzate dalle donne di colore, ma che in questo caso riproducono la forma di Landmark occidentali

parrucche ed arazzi, ph. Daniele Pio Marzorati

parrucche ed arazzi, Meschac Gaba, ph. Daniele Pio Marzorati

Uno sguardo anche all’ultima opera, a sinistra della grande parete ricoperta di  sacchi di juta logori (no, non è un Burri!), essa presenta una costruzione di specchietti che ci ricorda il modellino di un grattacielo, in realtà la metafora è forte: quella di togliere lo strato di pelle nera, per far emergere il nostro pallido volto bianco e costringerci a metterci faccia a faccia con la nostra coscienza, è candida come la nostra pelle?

Se siete curiosi di vedere tutto ciò con i vostri occhi, non vi resta altro che recarvi al FM CENTRO PER L’ARTE CONTEMPORANEA in via Piranesi, 10 dal mercoledì al sabato, dalle 14.00 alle 19.30, INGRESSO GRATUITO!!

Aperture straordinarie in occasione della Milano Photo Week:

Lunedì 5 giugno dalle 14.00 alle 19.30

Martedì 6 giugno dalle 14.00 alle 23.00

February 23, 2017No Comments

Osservando l’Osservatorio: che osservazioni! (firmate Prada, ovviamente)

Finalmente sono riuscita ad andare alla scoperta del nuovissimo spazio espositivo milanese firmato Prada: l’Osservatorio.
Inaugurato il 21 Dicembre 2016 si occupa di fotografia ed espone i nuovi linguaggi visivi che la utilizzano in vari modi.

Questo spazio mi ha incuriosita fin dal principio, grazie alla location spettacolare (5° e 6° piano di uno degli edifici centrali della galleria Vittorio Emanuele). Le aspettative che si creano sono davvero alte e sorge spontaneo chiedersi se i contenuti della mostra siano effettivamente all’altezza del contesto in cui si trovano.

Innanzitutto, bisogna trovare l’ingresso. Un’operazione che può sembrare molto semplice, ma che se non si ha ben chiaro cosa si sta cercando, non lo è affatto.

E' situata nella prima metà della galleria (arrivando da piazza Duomo) e si trova sulla destra, poco prima delle vetrine di Prada uomo. Fin da subito si fa sentire il peso del lussuoso contesto: ad accoglierti c’è il listino prezzi di Marchesi, la storica pasticceria di Milano situata nello stesso palazzo, con elegante ascensore di marmo verde, raffinato e piccino.

Ingresso Fondazione Prada, Galleria Vittorio Emanuele, Milano

Ingresso Fondazione Prada, Galleria Vittorio Emanuele, Milano

Una volta arrivati il personale è molto cordiale e ben disposto a fornire qualsiasi spiegazione. La mostra in scena è “Give me Yesterday”, un insieme di lavori di 14 artisti che raccontano le loro personalissime storie, accomunate solo dal medium utilizzato: la fotografia, e dal modo con cui questa viene utilizzata. Per poter comprendere tutto ciò è necessario munirsi della brochure, che fornisce oltre ad autore e titolo delle opere, anche qualche concetto chiave per poter comprendere ed apprezzare ciò che si sta per guardare.

Give me Yesterday, Osservatorio Fondazione Prada, Milano

Give me Yesterday, Osservatorio Fondazione Prada, Milano

Le opere esposte al primo piano sono le più bizzarre, passatemi il termine. Si rimane forse un po’ straniti osservando scatti provocatori di una signora non più tanto giovane, che posa semi-nuda con sfacciata disinvoltura. Leggendo si scopre essere la madre dell’artista e che l’effetto desiderato è proprio quello di sdoganare i tabù sulla sessualità. Incuriosisce anche il video che proietta album fotografici di famiglia sulla base di “Day-O (The Banana Boat Song)” di Harry Belafonte https://genius.com/Harry-belafonte-day-o-the-banana-boat-song-lyrics, canto popolare giamaicano innalzato dai lavoratori serali nei campi di banane o, per gli amanti dell’hip-hop come me, l’intro della canzone “6 foot 7 foot” di Lil Wayne https://youtu.be/c7tOAGY59uQ, che speri tanto parta a tutto volume.

Leigh Ledare, Osservatorio Fondazione Prada, Milano

Leigh Ledare, Osservatorio Fondazione Prada, Milano

Con la seconda sala è più facile familiarizzare, offre immediati spunti di riflessione ed occasioni di dialogo, se si è in compagnia. Interessante è il lavoro di una ragazza bolognese con le polaroid: "Ho preso le distanze", in cui ritrae amici e famigliari tanto distanti dall’obiettivo quanto è confidenziale il loro rapporto con l’autrice. Oppure gli scarabocchi con Photoshop di Kenta Cobayashi, che mi hanno immediatamente ricordato quando da piccola pasticciavo con Paint. Confortante è la linea di orizzonte continua fatta accostando i paesaggi di Puglia e Sardegna, ognuno di noi ha a cuore un orizzonte e questa serie di fotografie ce lo ricordano.

"Orizzonte in Italia" Antonio Rovaldi, Osservatorio Fondazione Prada, Milano

"Orizzonte in Italia" Antonio Rovaldi, Osservatorio Fondazione Prada, Milano

Unica pecca di tutta la mostra? Essendo le opere concettuali ed a volte “difficili”, si rischia di passare più tempo ad ammirare l’incantevole struttura della cupola, che sembra un delicato pizzo in vetro e ferro, che a guardare la mostra in sé.

Cupola della Galleria Vittorio Emanuele, Milano

Cupola della Galleria Vittorio Emanuele, Milano

Immancabile dopo la visita il caffè da Marchesi al piano inferiore, 5 € per un caffè (se volete potete ordinare anche solo un bicchiere d’acqua) e la corsa in piazza Duomo a vedere le palme.

Palme in Piazza Duomo, Milano, Italia

Palme in Piazza Duomo, Milano, Italia

February 14, 2017No Comments

AAF – L’arte alla portata di tutti!

Domenica sera si è conclusa a Milano, presso il Superstudio Più di via Tortona 27"AAF - Affordable Art Fair": la fiera dell'arte contemporanea alla portata di tutti.

Eh sì, perché la filosofia dell'evento è proprio quella di offrire al cliente una ricca selezione di opere di arte contemporanea di artisti già affermati od emergenti, i cui prezzi stiano rigorosamente tra i 100€ ed i 6.000€.

Il brillante format nasce a Londra nel 1999, sbarca in Italia nel 2011 ed in tutto coinvolge 15 paesi, tra cui Amsterdam, Brussels, New York, Hong Kong, Seoul, Singapore.

Le gallerie coinvolte sono tantissime e provengono da tutto il mondo. Interessante "Milano Contemporary", la sezione dedicata alle gallerie milanesi, che punta a coinvolgere maggiormente la comunità locale, presentando loro le nuove proposte del panorama artistico di nuova generazione e mirando a rafforzare il network cittadino.

Ve la siete persa e ne vorreste un assaggino? Sfogliate la gallery!

February 11, 20172 Comments

Non fate le Mummie, andate al Museo!

Lo so, la sessione esami è impegnativa. È difficile ricavare del tempo per ciò che ci piace, per andare a fare shopping sfruttando i saldi (ma perché devono coincidere proprio con la sessione invernale?!), è difficile persino trovare il tempo per avere una vita sociale e ricordarsi di essere persone con la capacità di relazionarsi con il prossimo, quindi, figuriamoci se troviamo il tempo per visitare una mostra o un museo!

Però, se ce l’ho fatta io, vi assicuro che potete farcela anche voi e che dopo starete benissimo.

Innanzitutto, uno spassionato consiglio che vi do per il weekend è quello di andare a visitare “Affordable Art Fair” a Milano, il cui cuore è in via Tortona 27, al Superstudio Più.

Questa fiera d’arte contemporanea è un evento che ormai si tiene ogni anno a Milano e stuzzica il palato di chi vorrebbe acquistare arte, ma non ha mai trovato la motivazione sufficiente per spendere cifre considerevoli. Qui si ha l’occasione di portarsi a casa un bel quadro o un oggetto d’arte a cifre super accessibili. Da non perdere!

Altro consiglio che vi do per staccare un po’ la spina dalla quotidianità e per far visita ad un museo degno del viaggio, è: andate al Museo Egizio di Torino!

Da poco ha visto terminare il restauro durato 5 anni, impresa veramente ammirevole in quanto la direzione è riuscita a non chiudere mai il museo al pubblico durante i lavori. Ciò significa che talvolta la collaborazione tra privato e pubblico funziona – e anche bene!

All’esterno sorvegliano l’ingresso due grandi statue che danno subito la sensazione di essere sul set del film “La Mummia – il ritorno”, inquietanti, ma fascinose.

Statua ingresso Museo Egizio

Statua ingresso Museo Egizio, Torino

Anche il salone d’ingresso contribuisce a restituire la medesima sensazione: biglietteria, negozio per gli acquisti e area d’attesa sono tutti contenuti in questa enorme stanza con soffitti alti, un colonnato ai margini, pavimenti in pietra scura, pareti di specchi imbruniti e illuminazione a faretti, che se ti avessero chiesto di descrivere l’ingresso di un templio dell’aldilà, l’atmosfera sarebbe proprio quella.

Il museo è strutturato su più livelli e la visita si svolge in ordine cronologico. Si giunge nella prima sala dopo un turbinio di scale mobili dove, in caso di ingorgo, l’unica cosa in cui speri è che il signore davanti a te non inchiodi una volta giunto al pianerottolo, perché altrimenti gli finiresti dritto nel sedere, accompagnato dal moto inesorabile dell’intransigente scala, che non fa sconti a nessuno. Una volta aver superato incolumi questo primo passaggio si viene catapultati in una stanza stretta e lunga in cui si inizia a vedere i reperti che raccontano la storia del popolo Egizio, a partire dalla più antica mummia meglio conservata.

La Mummia più antica, Museo Egizio, Torino

La Mummia più antica, Museo Egizio, Torino

I vari piani raccontano le diverse epoche che hanno caratterizzato l’evolversi di questo antico popolo, dall’Antico Regno, all’Epoca Romana Tardoantica ed è meraviglioso osservarne le usanze ed il linguaggio fortemente simbolico con cui ogni oggetto veniva decorato.

Dettaglio Sarcofago di donna, Museo Egizio, Torino

Dettaglio Sarcofago di donna, Museo Egizio, Torino

Si entra in un mondo in cui la vita ultraterrena ha quasi più valore di quella terrena e in cui il corpo di un defunto viene trattato con più cura di quello vivente. Mito, magia, religione e sacralità sono concetti qui fortissimi e nella nostra realtà occidentale un po’ sottovalutati, forse, ma sui quali le cronache di oggi tornano a farci riflettere.

In questo contesto è palpabile la forza con cui un’idea non provata empiricamente riesce a manovrare l’operato di un intero popolo per secoli. La sola fede nella vita dopo la morte ha condotto una stirpe a creare tombe imponenti, statue enormi, utensili vari ed oggetti straordinari con mezzi poverissimi.

La sala che ripaga del viaggio fino a Torino (se non siete di quelle parti) è sicuramente l’ultima. Si tratta della “Galleria dei Re”. L’ambiente è ancora una volta di colore scuro, sembra un templio antico di adorazione delle divinità e ospita tutte le statue acquistate dal museo che ritraggono potenti faraoni, sfingi, dei. Lo spettatore torna a sentirsi a metà tra Lara Croft in “Tomb Raider” ed Indiana Jones ne “I predatori dell’arca perduta”, finché esce da quel magico mondo e si ritrova nello Store a comprare il catalogo del Museo senza essersene neanche reso conto.

Galleria dei Re, Museo Egizio, Torino

Galleria dei Re, Museo Egizio, Torino

November 13, 20162 Comments

Tranquille, anche nel 1600 avevano la cellulite!

È in corso a Palazzo Reale la mostra di Pietro Paolo Rubens, nome italianizzato per l'occasione, con il fine di enfatizzare il rapporto tra il pittore e l'arte italiana.

Il cavallo di battaglia dell'intero percorso è la prima sala, in essa sono esposti i ritratti che raffigurano gli affetti di Rubens, compreso il suo più famoso autoritratto, la cui attribuzione, però, non è ancora certa (si tratta comunque di un capolavoro).

Mentre giravo tra le prime sale un pensiero mi è saltato subito alla mente: quello di sentirmi osservata. Gli sguardi delle persone ritratte sono talmente vivaci e concreti da sembrare fissarti in maniera tutt'altro che vuota, bensì penetrante. Se gli occhi sono lo specchio dell'anima, sicuramente Rubens è stato in grado di cogliere l'essenza dei suoi soggetti.

La mostra vuole mettere in scena il rapporto del pittore fiammingo con l'Italia e per farlo si serve di innumerevoli paragoni con statue antiche ed artisti di quel tempo, tali per cui la nostra capacità di analisi è continuamente stimolata in un fervido gioco di comparazioni e confronti.

Il percorso è tematico e non cronologico, ragion per cui si rimbalza da una bellezza più ideale, come quella del magnifico “Torso del Belvedere” (al quale si ispirò anche Michelangelo), ad una più drammatica scena di Saturno che divora i suoi figli (che ci evoca immediatamente la riproduzione, ancor più brutale, di Goya), ad una bellezza molto più realistica e meno idealizzata di “Susanna e i vecchioni”.

La figura femminile è abbondante, ha le cosce piene ed un volto paffuto. A differenza delle rappresentazioni di nudo precedenti, qui compare “il difetto”. Rubens con estrema modernità ha voluto rappresentare una donna vera, abbandonando così l'idillio della figura classica, pur conservandone la bellezza. Messaggio da non sottovalutare nella società odierna, in cui si vuole sempre più rendere al mondo esterno un'immagine di sé ideale (aiutati, o forse rovinati, da una tecnologia che lo rende possibile con mezzi semplici e alla portata di tutti).

Lo stesso soggetto è stato riprodotto da Artemisia Gentileschi, unica pittrice donna (a noi nota) di quel tempo, della quale, in questi giorni, è proposto un meraviglioso documentario su Sky Arte. Consiglio a chi ne fosse in possesso di non lasciarselo scappare.

Se siete affascinati dall'arte antica e desiderosi di vederne un grande esempio, la mostra di Rubens è sicuramente un'occasione da non perdere. Sfrontati e quasi sfacciati risultano gli sguardi dei ritratti e simboliche, ma allo stesso tempo disilluse, sono le sue allegorie.

November 3, 2016No Comments

Nella mente di Escher (che confusione!)

Mancano pochi mesi alla chiusura della mostra dedicata all'artista, genio della grafica, Escher. Le sue opere più rappresentative riguardano la sovversione delle leggi della fisica e la rappresentazione di un mondo impossibile, se non su carta.

La mostra comincia mettendo in scena la parte più realistica della produzione dell'artista: scorci e vedute che Escher compie, affascinato dai meravigliosi paesaggi nostrani del Sud Italia, in particolare, dalla Costiera Amalfitana (sappiamo bene di cosa è capace la nostra terra!). La rappresentazione di questi paesini è maniacalmente minuziosa e precisa, talmente dettagliata da ricreare l'effetto contrario: i luoghi sembrano misteriosi, tratti direttamente dal miglior libro di fiabe per bambini.

Piano piano, mentre si prosegue con il percorso, in maniera, a parer mio, non del tutto chiara, vengono svelati i lavori più astratti di Escher ed iniziano a comparire puri capolavori di grafica, giochi psichedelici di bianco e nero, che neanche i migliori caleidoscopi ti saprebbero regalare!

Con il proseguire ci si addentra sempre più in un mondo parallelo, un mondo nel quale ogni legge della fisica a noi nota, viene messa in discussione e si intrecciano scale, la forza di gravità si fa policentrica ed il disegno diviene trappola per un occhio distratto. Le tele sono proposte con una discutibile cornice lignea e appoggiate a pareti dai colori scuri ed intensi, poco concilianti con l'idea minimalistica e a tratti pop che le tele dell'artista trasmettono.

Ho molto gradito, però, i diversi giochi didattici di cui era cosparsa la mostra: illusioni ottiche sotto varie forme, spazi dedicati ai selfie, consigli sugli hashtag da utilizzare e molti angoli prospettici da cui poter constatare con i propri occhi alcuni inganni visivi molto amati da Escher, geniale! Lo trovo un ottimo metodo per rendere la mostra memorabile sia per grandi, che per piccini ed un modo per far divertire anche la persona più disinteressata.

Escher è stato di grande ispirazione per artisti sia del suo tempo, che dei giorni nostri. La più recente citazione dedicatagli la possiamo trovare nelle scale mutevoli di Harry Potter, nella pubblicità di Sky Boxe (in cui il cantante Mika ci appare in una stanza vuota con scale in continuo movimento) e nel recentissimo film della Marvel al cinema in questi giorni: “Doctor Strange”, in cui un pizzico di novità (rispetto ai precedenti film della casa produttrice) è portato proprio dall'esistenza di una realtà mutevole: sembra di vedere su schermo esattamente la rappresentazione filmica dei bizzarri mondi raffigurati nelle tele di Escher.

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