April 10, 2020 — Comments are off for this post.

Intervista a Giorgio Galimberti, street photography

Giorgio Galimberti, classe 1980, nato e cresciuto in mezzo alla fotografia. Nell’intervista avvenuta l’8 Aprile 2020 in diretta Instagram su @artebella.it racconta il suo percorso professionale.

Giorgio fin dall’età di 8 anni si è ritrovato in mezzo ai lavori di suo padre, Maurizio Galimberti, anch’egli fotografo e sperimentatore. L’approccio fanciullesco al mezzo fotografico è stato con le Polaroid e la pratica in camera oscura. Crescendo è andato a lavorare nell’impresa edile di famiglia, come geometra. Da lì nasce l’amore per il rigore e le line geometriche. La predilezione per immagini pulite ed eleganti, l’occhio naturale per composizioni equilibrate, sono caratteristiche che Giorgio ha sicuramente sviluppato crescendo in un contesto brianzolo, di mobilieri. 

Stare fianco a fianco di un padre con un carattere molto forte e influente è sicuramente stimolante e a volte difficile. Giorgio però ha saputo trarne un vantaggio e, ispirandosi a grandi fotografi come Mario Giacomelli, ha trovato la sua cifra stilistica ben definita. Bianco e nero, forti contrasti, immagini eteree, appartenenti ad una sfera quasi immaginaria. Per questi motivi la fotografia di Giorgio si può definire metafisica. 

Riguardo le influenze esteree Giorgio vede Eiko Osoe come il maestro per eccellenza della fotografia Nipponica e ne è affascinato dalla schiettezza dei suoi nudi ed il fascino orientale.

“Io penso che le immagini accademiche e perfette siano un po’ uno specchio per le allodole, quando si va a cercare la perfezione poi si rischia di avere una fedele riproduzione e qualcosa che manca”, dice Giorgio commentando una celebre frase del fotografo francese Robert Doisneau. Citando poi come esempio autori del calibro di Robert Frank e Paolo Pellegrin. 

In post produzione si definisce rozzo e scolastico. Usa Lightroom, ma solo per poche funzioni di base: il bianco e nero, il contrasto, la sottoesposizione ed il controluce.

Per Giorgio questa maggiore fruizione della fotografia da parte di tutti, facilitata dall’uso della tecnologia, è un’opportunità. "Se cresce il numero degli appassionati, cresce il bacino di utenza per noi fotografi", spiega. Inoltre, sottolinea come la fotografia sia un linguaggio universale, che ha una potenza difficile da contenere. Al giorno d’oggi siamo arrivati ad avere fotografie nelle note del cellulare, come appunti. “La fotografia è multilingue e arriva a tutti, al letterato, come al bambino di prima elementare. Quindi è questa la sua forza”.

Inoltre Giorgio ha partecipato alla raccolta fondi “100 fotografi per Bergamo” organizzata dalla rivista Perimetro e la descrive come un evento che passerà alla storia. 100 fotografi internazionali sono stati chiamati per mettere in vendita a 100 Euro una loro foto per sostenere gli ospedali di Bergamo colpiti dalla crisi del Coronavirus. “In sette giorni hanno raccolto 726 mila Euro ed è stato il crowdfunding di fotografia più importante in Italia”, racconta Giorgio.

Infine, nel corso dell’intervista è stato chiesto a Giorgio di descriversi con tre oggetti. Ha scelto la sua macchina fotografica: una Panasoic Lumix G9, di cui è Brand Ambassador. “Per me è come il proseguimento del mio braccio, non vivo senza.” Il secondo oggetto sono un paio di scarpe da corsa. Confessa che curarsi e mantenersi allenato è il modo migliore per piacersi e acquisire sicurezza di sé, anche come fotografo. In aggiunta, lo sport insegna disciplina e rende possibile perdersi nelle città per ore e ore senza sosta, per compiere estenuanti reportage fotografici. Il terzo oggetto è il centimetro, che rappresenta la sua storia, il suo passato e la sua formazione come geometra. 

Guarda l'intervista qui!

November 3, 2016No Comments

Nella mente di Escher (che confusione!)

Mancano pochi mesi alla chiusura della mostra dedicata all'artista, genio della grafica, Escher. Le sue opere più rappresentative riguardano la sovversione delle leggi della fisica e la rappresentazione di un mondo impossibile, se non su carta.

La mostra comincia mettendo in scena la parte più realistica della produzione dell'artista: scorci e vedute che Escher compie, affascinato dai meravigliosi paesaggi nostrani del Sud Italia, in particolare, dalla Costiera Amalfitana (sappiamo bene di cosa è capace la nostra terra!). La rappresentazione di questi paesini è maniacalmente minuziosa e precisa, talmente dettagliata da ricreare l'effetto contrario: i luoghi sembrano misteriosi, tratti direttamente dal miglior libro di fiabe per bambini.

Piano piano, mentre si prosegue con il percorso, in maniera, a parer mio, non del tutto chiara, vengono svelati i lavori più astratti di Escher ed iniziano a comparire puri capolavori di grafica, giochi psichedelici di bianco e nero, che neanche i migliori caleidoscopi ti saprebbero regalare!

Con il proseguire ci si addentra sempre più in un mondo parallelo, un mondo nel quale ogni legge della fisica a noi nota, viene messa in discussione e si intrecciano scale, la forza di gravità si fa policentrica ed il disegno diviene trappola per un occhio distratto. Le tele sono proposte con una discutibile cornice lignea e appoggiate a pareti dai colori scuri ed intensi, poco concilianti con l'idea minimalistica e a tratti pop che le tele dell'artista trasmettono.

Ho molto gradito, però, i diversi giochi didattici di cui era cosparsa la mostra: illusioni ottiche sotto varie forme, spazi dedicati ai selfie, consigli sugli hashtag da utilizzare e molti angoli prospettici da cui poter constatare con i propri occhi alcuni inganni visivi molto amati da Escher, geniale! Lo trovo un ottimo metodo per rendere la mostra memorabile sia per grandi, che per piccini ed un modo per far divertire anche la persona più disinteressata.

Escher è stato di grande ispirazione per artisti sia del suo tempo, che dei giorni nostri. La più recente citazione dedicatagli la possiamo trovare nelle scale mutevoli di Harry Potter, nella pubblicità di Sky Boxe (in cui il cantante Mika ci appare in una stanza vuota con scale in continuo movimento) e nel recentissimo film della Marvel al cinema in questi giorni: “Doctor Strange”, in cui un pizzico di novità (rispetto ai precedenti film della casa produttrice) è portato proprio dall'esistenza di una realtà mutevole: sembra di vedere su schermo esattamente la rappresentazione filmica dei bizzarri mondi raffigurati nelle tele di Escher.

October 31, 20162 Comments

Hokusai, l’è on gran Hokusai

Cercate idee per il vostro nuovo tatuaggio giapponese?! Sicuramente la mostra di Hokusai, Hiroshige e Utamaro a Palazzo Reale di Milano potrà esservi d'aiuto.

Il simbolo della mostra, la grande onda di Kanagawa, che ormai troviamo in ogni dove – volantini, tram, cartelloni pubblicitari, articoli di giornale, appiccicata in fronte, dietro all'orecchio insieme alla monetina che fanno sparire i maghi, eccetera – è in realtà una vera e propria icona che può ispirare, ora come allora, la fantasia di un pubblico giovane e recettivo.

La mostra è allestita con più di 200 opere provenienti dall'Honululu Museum of Art, allestita in occasione del 150° Anniversario delle relazioni tra Giappone e Italia.

Oltre ad indurre un viaggio interculturale con la mente, ben stimolato dalle grafiche stesse e dalle spiegazioni di piacevole lettura, a farci fantasticare sui nuovi possibili tatuaggi must-have e sulle singolari usanze di quel popolo così diverso da noi per spazio e per tempo, la mostra è apprezzabile anche per la magistrale attività curatoriale con cui è stata allestita.

Ogni singolo elemento presente nell'esposizione è ben pensato e regala armonia e pace. I colori ocra e blu delle pareti si abbinano benissimo alle tele, il percorso è lineare e molto logico: non vi capiterà mai di sentirvi spaesati e di non sapere dove continua la mostra, cosa che spesso accade e infastidisce.

Una chicca da me molto apprezzata, inoltre, è l'utilizzo di didascalie lignee per apporre titolo dell'opera e nome dell'artista, citazione esplicita ma delicata alla tecnica stessa della xilografia (metodo di stampa su legno utilizzato per la realizzazione delle tele esposte), adorabili!

Unica pecca? Troppo lunga!

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